12 ottobre: Julian Ross Foundation a Ignoranza Radiofonica vol.1 – VIVA BABE

Ricopio quello che c’è scritto sull’evento fb:

Siamo amiche ed amici di Babe, e stiamo organizzando una serie di serate per ricordarlo, insieme a tutti i musicisti, i dj e gli artisti che lo hanno conosciuto e hanno avuto la fortuna di amarlo come noi.
Il migliore modo di omaggiarlo è attraverso la musica, e il primo appuntamento sarà all’Ekidna di Carpi, un luogo al quale Babe era molto legato.
Il ricavato delle serate sarà devoluto per pubblicare la sua tesi in geografia politica, “Underground Music and Houses Squatting in Berlin”.
“Ignoranza Radiofonica” era il nome della trasmissione che anni fa conduceva su un’emittente bolognese, e ci piace recuperare ora questo nome, da lui fieramente coniato, per i concerti e dj set con cui vogliamo festeggiarlo.
Matteo “Babe” Ferrari è stato un ricercatore in cultural studies e un dj, dopo che in altre vite aveva fatto tante altre cose, ed è stato soprattutto il nostro grande amico, una persona che ci ha cambiato l’esistenza.
Ci mancano il suo sorriso, le sue facce, la sua gentilezza, la sua ironia, i suoi tormentoni sarcastici, i suoi racconti, le sue riflessioni argute, i suoi suggerimenti su un libro da leggere o un film da guardare, i suoi inviti ai concerti.
Ognuno ha il suo Babe, ma tra i tanti Babe che hanno reso belle le nostre vite, oggi ci viene in mente un ragazzo alto un metro e novantacinque, con indosso le inconfondibili bretelle, lo zaino sempre in spalla, pronto a partire per il mondo, un ragazzo che voleva acciuffare la felicità, e per raggiungerla non faceva compromessi con niente e nessuno.

Babe era un nostro amico. Sabato sera, insieme alla gente che potete leggere nel volantino qui sotto, proviamo a ricordarlo come possiamo.
Julian Ross Foundation siamo noi. È il nostro nuovo nome. Magari un giorno vi racconto la storia. Intanto, se potete, ci vediamo sabato all’Ekidna.
Viva Babe.

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Suicide Squeeze⚾Unlikely Quartet: 3 ottobre 1951

E insomma, questo è quello che ho letto l’altra sera, mentre Danirossi, Paso e Jacopo suonavano, e avevamo tutti le divise dei Carpi Clippers, e mazze e caschetti nel set di batteria, eccetera (metto solo il link per ovvi motivi, ma se volete sapere il perché e il percome scrivetemi):

https://marcomanicardi.altervista.org/wp-content/uploads/2024/09/3-ottobre-1951-final-final.pdf

Sembra che ci siamo trovati bene.
E che forse lo rifacciamo.

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20 settembre: Suicide Squeeze Unlikely Quartet

Stasera, nel Bar Polisportiva al 58 di via Curiel, a Rovereto Sul Secchia, in provincia di Modena, più o meno dalle 18:30 ma abbondanti, facciamo una cosa che si chiama SUICIDE SQUEEZE⚡️UNLIKELY QUARTET, che è appunto un quartetto dove suonano Daniele Rossi, Enrico Pasini e Jacopo Bassoli, e io leggo a voce alta. A tutti e quattro piace il baseball e di questo tratteranno essenzialmente i quattro movimenti che vi proporremo. Tentando anche di spiegarvi come il baseball abbia a che fare con la vita, proprio in senso generale.

Dopo di noi, suonano i Fumapadana, che sono autoctoni roveretani coi piedi ben piantati nella terra.
E infine, tra le altre cose, si mangiano delle pinse, ci sono dei dj, e si contribuisce a finanziare la rinascita di uno dei festival più belli di tutto il corso del Secchia, cioè Rockkereto.

Dato che, come è noto, “a volte si vince, a volte si perde, a volte piove“, molto probabilmente lo facciamo al coperto.

Qui c’è l’evento su facebook con tutte le informazioni.
E questo è il volantino:

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Una volta l’anno

Succede una volta l’anno, tutti gli anni, che per tre giorni filati, tra Carpi, Modena e Sassuolo, c’è l’uomo della strada che va in giro a piedi per le vie del centro con la faccia tirata e lo sguardo sagace, e lo senti usare delle parole insolite, come per esempio «ontologia».


(C’è il Festival di Filosofia e questa è una cosa che posto una volta l’anno, tutti gli anni)


:(

Tutti i martedì sono uguali, ma alcuni martedì sono più uguali degli altri: </ferie>


2 agosto 1952, 2 agosto 1980, 2 agosto 1998

Quando arrivava il 2 di agosto, mio nonno, Corrado, diceva sempre che il 2 di agosto del 1952 era notte e…

… ero andato in bicicletta a casa dell’Ada, l’avevo caricata sulla canna e via, ci eravamo sposati che era già incinta… l’avevo presa sulla canna della bicicletta e lei, che era la più povera del paese, aveva una scatola da scarpe come dote… ma non era mica piena, la dote era proprio la scatola da scarpe, pensa te com’era povera… però era d’un bella, l’Ada, e l’avevamo chiamata a lavorare in campagna da noi che non sapeva fare niente, e quando c’era da spostare il fieno se lo ribaltava sempre tutto addosso che io e mio padre facevamo di quelle ridute che cascavamo per terra.

E oggi sarebbero stati 72 anni di matrimonio, se l’Ada e Corrado fossero ancora al mondo.
Mi mancano moltissimo. Così va la vita.

Invece, del 2 di agosto del 1980, Grushenka dice sempre che…

… la puntualità non è una dote innata. C’entra coi comportamenti abituali, con quelle cose che inizi a fare in un certo modo e che poi rimangono così. O sei sempre stato puntuale o non lo sei mai stato. Ma dipende, son cose che hanno un inizio, non sono innate. Io non sono puntuale e neanche i miei genitori sono mai stati puntuali.
Mia madre l’indomani voleva prendere il treno, s’era fissata con questa idea, diceva a mio padre dai Imbeni, domani ci svegliamo presto e prendiamo quello delle nove, che ci vuole. Poi però si sono svegliati tardi, mia madre ci metteva un sacco di tempo a prepararsi, è una che ci ha sempre messo molto tempo. Mio padre si prepara una moka di caffè mentre mia madre sbuffa in bagno e le dice vabbè dai, ci andiamo in macchina pian pianino. Dice sempre pian pianino, mio padre, non è mai stato un tipo puntuale. A Bologna dovevano trovare un libro, un testo universitario. Mia madre si era riscritta all’università di Modena ma si vede che a Modena quel libro non l’aveva trovato. Mi ha ripetuto spesso che le ho dato io la forza di finire l’università, che quando è rimasta incinta ha deciso di riprendere gli studi e di laurearsi. Era incinta di sette mesi, io sarei dovuta nascere in ottobre, anche se poi son nata a metà novembre, in ritardo.
Arrivati a Bologna erano in un bar del centro a fare colazione quando è iniziato un via vai di gente concitata, è scoppiata una caldaia alla stazione, diceva qualcuno entrando, è terribile, ci son dei morti, poi telefonavano e uscivano e intorno l’agitazione aumentava. Una caldaia in agosto? pensava mio padre e ha preso mia madre e son risaliti sulla macchina ma verso la stazione deviavano il traffico, non facevano avvicinare nessuno, accidenti, è qualcosa di grosso, pensavano spaventati. Allora hanno preso la via Emilia, e pian pianino siamo tornati tutti a casa.

E così, quel giorno là, quella che trentaquattro anni dopo sarebbe diventata la mamma di mio figlio aveva perso un treno. Per fortuna.

E poi, per finire, il 2 di agosto del 1998…

… avevo 19 anni, io e i miei amici ci eravamo appena diplomati e dovevamo passare quella meravigliosa estate di nulla totale che ci separava dall’università e dal lavoro a vita. Avevamo pensato di farci un Interrail di ventidue giorni in Francia, Belgio e Olanda.
Avevo fatto di tutto perché il 2 di agosto fossimo a Parigi, e nessuno capiva il perché, ma appena eravamo scesi dal treno, avevamo preso la metro ed eravamo arrivati sugli Champs-Élysées, spuntati in superficie, mi ricordo che mi ero messo a correre, avevo tirato fuori dallo zaino una bandiera tricolore e mi ero diretto senza pensare verso le transenne, zampettando come un matto. Stava arrivando il Tour de France, e tra la lunga fila di corridori ce n’era uno con la maglia e il pizzetto gialli.
Non credo di aver pianto come quella volta davanti alla televisione mentre guardavo l’arrivo sull’Alpe d’Huez, nel 1995. Però era stata lo stesso una bella botta di gioia.
Non è che capiti a tutti di vedere un Dio dal vivo. Non avevo mai visto dal vivo né Maradona né Michael Jordan. Ma Pantani sì. Era lì, a qualche metro da me, bellissimo, lo potevo quasi toccare.

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Wu Ming 1 e Santachiara (e Calvino, Pavone e Revelli)

E in un libro che si chiama Point Lenana, del 2013, Wu Ming 1 e Roberto Santachiara dicono che:

In quelle settimane di sbandamento, per dirla con il partigiano Kim in Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino, bastava «un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima, e ci si trova[va] dall’altra parte». «Questo nulla», ha scritto lo storico Claudio Pavone, era «capace di generare un abisso». Poteva trattarsi di «un incontro casuale con la persona giusta o con la persona sbagliata; e poteva ricollegarsi al modo in cui si erano vissute le giornate seguite al 25 luglio [1943]», cioè alla caduta di Mussolini. In quei giorni Nuto Revelli era un tenente degli alpini appena tornato dalla Russia, ma era già un partigiano quando, il 12 ottobre 1943, scrisse sul suo diario: Al 26 luglio si poteva anche scegliere sbagliato. Se mi picchiavano, se mi sputavano addosso, forse sarei passato dall’altra parte, con i fascisti, con le vittime del momento. Oggi sarei con le canaglie, con i barabba, con le spie dei tedeschi.

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Majakóvskij

E in un poema che si intitola Uomo, del 1918, che si trova anche dentro a un libro che si chiama Poemidel 1963, Vladímir Vladímirovič Majakóvskij si domanda:

Chi ha ordinato ai giorni
di luglieggiare?


 (Anche questa è una cosa che posto tutti gli anni)


:)

<ferie>


7 luglio

Undici anni fa, avevo appena 34 anni, ero con mio nonno, Corrado, fuori da un bar dove i miei genitori avevano organizzato un piccolo rinfresco per festeggiare la laurea in Scienze dell’Educazione di mia sorella, all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nella sede di Reggio Emilia; mentre eravamo lì, io e mio nonno Corrado, che parlavamo del più e del meno, a un certo punto lui si era fatto un po’ pensieroso e mi aveva detto: «Oh, Marco, questa è la piazza dove hanno ammazzato quei manifestanti.»
«Sì, nel 1960,» gli avevo subito risposto io, prendendo l’occasione al volo, che mi piaceva sempre molto quando mio nonno cominciava a parlare delle sue cose passate, del PCI, delle manifestazioni, degli scioperi, eccetera, e dovevo aver anche provato a canticchiare il ritornello dei Morti di Reggio Emilia, così, per darmi un tono.
Lui aveva annuito, aveva alzato un braccio e aveva indicato un punto preciso della piazza.
«Io ero là,» mi aveva detto, «eravamo in fondo al corteo perché noi che venivamo dai paesi più lontani eravamo sempre gli ultimi. Non mi ricordo se ho sentito le schioppettate, ma mi ricordo che a un certo punto si son messi tutti a correre verso di noi, scappavano via.»

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