Siamo in sala parto e Caterina partorisce un bambino un po’ down, ma che comunque sa già parlare ed esordisce con un bel «Salve!» davanti alle nostre facce perplesse.
Il bambino ha quattro mani, due delle quali sono attaccate ai polsi di quelle normali. È abbastanza brutto.
Ci rimaniamo un po’ malino, anche perché abbiam sempre fatto tutti i controlli che c’erano da fare e non era saltato fuori niente. Ma vabbè, ormai è fatta.
L’infermiere dice: «Cosa facciamo, abortiamo?»
E io: «Ma è già nato!»
E l’infermiere: «Non c’è problema, se volete lo ammazziamo.»
E io: «Ma no. Ma valà. Lo teniamo.»
Con uno stacco di quelli che si fanno nei sogni, ci ritroviamo a casa, seduti su un tappetone, in salotto, a giocare col nuovo nato con quattro mani. Solo che dobbiamo ancora dargli un nome.
Ci guardiamo, lo guardiamo, ci riguardiamo, lo riguardiamo, poi decidiamo: lo chiamiamo GUIDO.
(Dopo mi sono svegliato, penso dal ridere.)