Zampetta

E insomma, è successa questa cosa molto piccola e semplice, ma a suo modo incredibile, e adesso ve la racconto.
Il 30 di ottobre, tornando dal mercato contadino, avevamo trovato un bruco tra le foglie di cicoria. Era un bruchetto verde, minuscolo, lungo un centimetro scarso, e di solito l’avremmo liberato sul davanzale o sul balcone, invece quel giorno l’avevamo preso insieme alla foglia di cicoria su cui era posato e avevamo messo tutto in un barattolo di vetro. Avevamo tappato il barattolo con una retina rossa.
La foglia di cicoria era finita in pochi minuti, e gli avevamo dato una foglia d’insalata. La foglia d’insalata era finita dopo neanche un’ora. Avevamo continuato così e lui era cresciuto, era diventato ogni giorno più lungo e più ciccione. E cagava tantissimo. Non avevamo idea di quanto cagasse un bruco, secondo me non ce l’avete neanche voi.
Il Miny l’aveva battezzato Zampetta.

(Zampetta il secondo o terzo giorno nel barattolo; quella in basso a destra è la cacca)

La domenica successiva, il 7 novembre, io e il Miny eravamo lì che guardavamo Zampetta. Aveva finito tutta la sua insalata e si muoveva in modo strano rispetto al solito, sembrava inquieto, non sapeva dove stare.
«Avrà fame,» ci eravamo detti, «diamogli un’altra foglia d’insalata.»
Ma nemmeno quella foglia sembrava soddisfarlo. Così eravamo tornati a fare le nostre cose, sperando che mangiasse, ma dopo un po’ l’avevamo trovato sulla cima del barattolo, lasciava scie di muco sulla retina rossa, e sembrava alla ricerca di qualcosa. Ma cosa? Non lo sapevamo.
Qualche ora dopo era tutto imbozzolato in una piccola cameretta di seta sulla cima del barattolo. Ci si era disteso dentro e continuava a lavorare dall’interno.

(Zampetta imbozzolato e steso, ma ancora al lavoro)

Nel primo pomeriggio aveva smesso di contorcersi. Doveva aver finito il bozzolo. Ogni tanto aveva uno spasmo, ma cominciava a rimanere sempre più immobile, fino a fermarsi del tutto. Il giorno dopo, quando ci eravamo svegliati, non era più verde. Era una specie di chicco violaceo e bislungo, solido e, come dire, croccante, e Zampetta si vedeva a malapena attraverso il bozzolo di seta.
E così era poi rimasto, fermo immobile nella sua crisalide.
Ci eravamo informati sull’internet. C’era scritto che i bruchi “autunnali” si imbozzolano fino a primavera, anche se c’è qualche possibilità che escano dalla crisalide un po’ prima se stanno in una casa relativamente calda. C’era scritto che, comunque, non tutti ce la fanno. Le probabilità di vederli uscire dalla crisalide non sono altissime. Anzi sono molto basse.
Ogni giorno andavamo a controllare se fosse cambiato qualcosa, ma niente. Era sempre così. Una cosa ferma e inerte.
«Speriamo bene,» ci eravamo detti.

(Zampetta che diventa una crisalide viola nel bozzolo; non abbiamo foto migliori, e in questa era ancora un po’ verde)

Passavano così due settimane intere. Lui era sempre lì, nella sua crisalide viola e croccante, fermo immobile. Noi buttavamo un occhio ogni tanto al barattolo, ma non sembrava cambiare nulla, a parte l’insalata che marciva e i cumuli di cacca di bruco che imputridivano sul fondo. Cominciava anche un po’ a puzzare, se avvicinavi il naso al barattolo.

Poi, ieri sera, ero lì che andavo in cucina a bere un bicchier d’acqua, erano le sei o le sette del pomeriggio, ma c’era già molto buio fuori, ero passato di fianco al tavolo dove stava il barattolo di Zampetta e… cos’è quella roba gigantesca?
E ho gridato: «UNA FALENA!»
E tutti sono accorsi a vedere, anche i gatti.
E io ve lo giuro: eravamo commossi.

(«UNA FALENA!»)

Abbiamo aperto il barattolo, abbiamo tolto la retina, la falena rimaneva lì attaccata, ogni tanto muoveva una zampa, ma poco. Sembrava dormire, o immersa in pensieri molto profondi.

(«UNA FALENA!»)

L’abbiamo appoggiata sul tavolo con tutta la retina rossa, le abbiamo fatto qualche foto che però non rendono bene la bellezza di questo animaletto fantastico. Che ha le ali marroni cangianti, con riflessi argentei e dorati; ha due piccoli segni d’oro sulle ali che sembrano gli occhi chiusi di Ra; ha un disegno sulla fronte come la prua teschiata di una nave pirata.
Siamo rimasti lì un’ora in contemplazione, a farci delle domande, a cercare delle risposte, e lei rimaneva ferma sulla retina rossa. Dopo siamo andati fuori a cena, quando siamo tornati era ancora lì. Abbiamo deciso di tenerla in casa, che fuori fa troppo freddo e se fosse nata stata fuori sarebbe uscita dalla crisalide in primavera.
E siamo andati a letto.
«Non mangiatevela,» abbiamo detto ai gatti. Chissà se hanno capito.

(Zampetta)

Stamattina non c’era più. Siamo abbastanza sicuri che non l’abbiano mangiata i gatti, che hanno dormito con noi. Però, boh. Internet dice che di giorno le falene si infilano in pertugi tra le cortecce o tra le rocce, per poi uscire di notte, quindi forse si è infilata tra qualche mobile o in una libreria in mezzo ai libri o ai dischi. Internet dice anche che si nutrono di tante cose, ma che vanno ghiotte di cheratina, che si trova nella lana, nei peli, nei capelli e sulla pelle. La cosa non ci spaventa più di tanto.

Non sappiamo neanche come riferirci a questo piccolo esserino meraviglioso. Ma comunque, ciao Zampetta, benvenutə, anzi bentornatə in casa nostra. Vola liberə, dove vuoi, finché puoi. E grazie di essere così tremendamente bellissimə.


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