I mattini passano chiari

Ieri notte scartabellavo col contenuto di una scatola di latta in cui da vent’anni infilo un po’ di tutto, la chiamo la mia scatolina di Čičikov, ma è più simile alla collezione del tizio protagonista di Ogni cosa è illuminata. Dentro, per dire, ci sono i biglietti dei concerti, tutte le mie tessere ARCI dal 2000 all’anno scorso, ma anche le tessere degli altri posti, tipo ce n’è una dell’Ekidna del 2003, e le tessere dell’ANPI; e poi tante altre cose: cartoline che mi hanno spedito quando ancora si spedivano le cartoline, partecipazioni a matrimoni, ricordini di parenti e amici morti, diari di viaggio improvvisati, spillette e adesivi, ingressi ai musei, due pass da “Relatore” del Salone del Libro di Torino, un pezzo di porfido della piazza di Carpi, un orologio da taschino fermo per sempre, delle foto e tante altre cose.
E tra tutte queste cianfrusaglie di una vita mi è saltato in mano un foglietto con una poesia o, anzi, sembrano due poesie intrecciate, una scritta in nero e una in rosso, che son stato lì quasi una notte intera e tutto il giorno dopo per capire cosa fossero e chi le avesse scritte.
La parte in nero, ci ho messo poco, è di Cesare Pavese. La parte in rosso mi mandava nei matti, ma poi cercando bene l’ho trovata nelle Poesie da decubito di Azael. Allora ho capito: è il foglietto di quella volta, il 3 novembre del 2011, in cui Azael presentava Favola d’amore triste per malati di mente allo Zammù di Bologna, e mi aveva chiamato sul palco (anche se non c’era proprio un palco, ma si stava lì in piedi tra i tavoli) a leggere con lui.
Io facevo Cesare Pavese, Azael faceva Azael, e la doppia poesia che ho trovato sul foglietto è questa qui:

I mattini passano chiari e deserti.
Cosa diranno i dinosauri di noi?
Così i tuoi occhi s’aprivano un tempo.
quando saremo lì
Il mattino trascorreva lento, era un gorgo d’immobile luce.
e gli zombie? cosa diranno gli alieni?
Taceva. Tu viva tacevi;
e le lucertole senza coda cosa diranno?
Le cose vivevano sotto i tuoi occhi
I dinosauri ci rinfacceranno seicentomilioni di anni, in attesa
(non pena non febbre non ombra)
nell’ombra, gli zombie la morte
come un mare al mattino, chiaro.
le lucertole senza coda, la coda
Dove sei tu, luce, è il mattino. Tu eri la vita e le cose.
ci guarderanno coi loro occhi di apocalisse naturale
In te desti respiravamo sotto il cielo che ancora è in noi.
le foreste appassiranno
Non pena non febbre allora,
i mari scenderanno giù giù per il buco del mondo
non quest’ombra greve del giorno affollato e diverso.
non diranno nulla i dinosauri, nulla
O luce, chiarezza lontana, respiro affannoso,
raccoglieranno i loro anni estinti, coi loro quattro ricordi preistorici
rivolgi gli occhi immobili e chiari su di noi
raccoglieranno, spinose, le code
È buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi.
e le lucertole, per questo, non sentiranno alcuna nostalgia.


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