Treno della Memoria 2012 (un reportage) – prima parte

Dodici anni fa ero andato sul Treno della Memoria da Fossoli a Birkenau, insieme al dottor Carlo Dulinizo e a una marea di studenti delle superiori. Al ritorno, qualche mese dopo, mandandoci dei messaggi tra Carpi e Cuba (dove si trovava in quel momento il dottor Dulinizo), avevamo scritto un piccolo reportage in due parti per No Borders Magazine, una webzine di viaggi e imprese titaniche che oggi non esiste più. Quel reportage doveva molto alle parole di Paolo Nori e Carlo Lucarelli che erano sullo stesso nostro vagone, due o tre cuccette più in là, e, come faccio tutti gli anni, quando mi ricordo, lo metto qui sul blog. Quest’anno col dottor Dulinizo abbiamo deciso di leggerlo. Lo spezzo in due parti perché è un po’ lungo, e questa qui sotto è la prima. Buon ascolto.

TRENO DELLA MEMORIA 2012, PRIMA PARTE: IL TRENO

***

[Fossòli-Birkenau, con l’accento tedesco sulla o, è la tratta dal campo di concentramento di Fossoli alla Juden Ramp di  Oświęcim, cioè Auschwitz, che han percorso col treno in tanti, a quei tempi là, e mica per scelta. La stessa tratta da otto anni viene attraversata da centinaia di studenti delle scuole superiori, intorno al 27 di gennaio. Si parte dalla stazione di Carpi, il 25, con un sole che non sembra inverno, e si arriva la mattina successiva a Kraków-Płaszów, nella neve ghiacciata di una Polonia grigia e inospitale.]

Viaggiare in treno, su quel treno, di notte, chi l’ha già fatto lo sa, è qualcosa di magico. Sarete 550 ragazzi delle scuole e un centinaio di adulti, circa. Appena arrivati alla stazione, cercate l’agenzia di viaggio a cui si sono affidati quelli della Fondazione Ex Campo di Fossoli, vi daranno una busta con informazioni sulle tempistiche del viaggio, le visite che farete, i numeri da chiamare in caso di emergenza ma, soprattutto, vi assegneranno il posto in carrozza e sull’autobus, e sarà quello per tutto il viaggio. Alla partenza non riuscirete a stare nel piazzale, e mentre le autorità vi ricorderanno cos’è stato e cos’è questo viaggio per loro e per la collettività, uno di voi farà caso alla dimensione, all’insieme, al mucchio di persone in attesa di partire. Poi si sale a bordo e iniziano gli addii dal finestrino.

[Nella promiscuità della stazione, ognuno prende la sua carrozza e cerca il posto assegnatogli d’ufficio. Lo faccio anch’io. Mi tolgo il giubbotto invernale, appoggio lo zaino stracolmo della roba che serve nei cinque giorni che mi separano dal ritorno, stringo mani sconosciute e mi siedo in silenzio, quasi ad aspettare chissà cosa. Quel chissà cosa è una piccola spinta che sento sotto le chiappe, quella spintarella che dice che il treno è in marcia. L’avrò sentita un milione di volte, ma questa è diversa, è come se mettesse in moto la testa.]

Partiti. Tutti sono entusiasti, tutti eccitati.  Ci si guarda tra i sei in cabina: se vi conoscete già, tanto meglio, ma se non vi conoscete comincerete adesso, le ore sono tante e ti viene spontaneo parlare con chi, come te, ha scelto di fare questa cosa qua. A noi è andata bene, talmente bene che siamo poi rimasti vicini sull’autobus, vicini durante le visite guidate, vicini nei ristoranti, vicini nei giri per la città, insomma ci è andata bene, molto. A consacrare questo tacito patto, dopo aver parlato e ascoltato le rispettive biografie per tanto tempo, tutti e sei, quasi simultaneamente, senza dir più niente, per un’oretta, ci siamo addormentati, sereni nella fiducia reciproca. Ti auguriamo altrettanto.

[Gli studenti no, gli studenti non leggono, non discutono di Olocausto quando il treno si è appena avviato, come facciamo noi vecchi un po’ per darci un tono, un po’ per rompere il ghiaccio; gli studenti non dormono, non dormono mai. Percorrono senza sosta gli undici vagoni, avanti e indietro, continuamente, ridono tra loro e deridono noi grandi che leggiamo, che parliamo a voce bassa, che guardiamo dal finestrino le stazioni sfrecciare una dopo l’altra, da Carpi a Tarvisio, da Tarvisio a Cracovia. Parto con l’idea fiacca che i giovani son così, che non sono com’ero io, ch’è un peccato. Tornerò, cinque giorni dopo, con la convinzione che tutta quella vitalità, in un treno che va verso la commemorazione della morte, sia sacrosanta: gli studenti, hanno ragione loro.]

Il treno da adesso è tutto per te, puoi vagare dall’inizio alla fine, cercare le altre classi se sei di una scuola, scoprire se c’è chi si è ben organizzato per divertirsi stanotte (c’è sempre qualcuno così, e nella testa di uno di noi è uno col cervello del contadino sardo, che nasconde il filoeferru nei campi perché gli dicono che è illegale mentre sa benissimo che glielo voglion solo prendere per berselo) e guardare le facce di ogni scompartimento e poi chiederti chi sono, cosa cercano da questo viaggio e segnarti di vedere se al rientro scoprirai qualcosa di diverso. Poi potresti vedere da un finestrino, lontana, una mongolfiera rossa, bassa sulle case di paesini che non conosci, e fintanto che la vedrai cercherai di capire se è veloce perché tu sei veloce o se è veloce perché insieme siete veloci e se è vera la seconda ipotesi, perché non la vedi più lentamente, siete entrambi veloci. Hai bisogno di un ripasso di fisica, non importa quanti anni hai.

[Il pregio del vagone degli accompagnatori, c’è da dirlo, è che i più anziani, a un certo punto, quando ormai hanno capito che per ammazzare il tempo tanto vale conoscere più gente possibile, tirano fuori il filoeferru, che poi è lambrusco, perlopiù. E il salame. Mangio, bevo, leggo qualcosa, soprattutto parlo e ascolto. È un treno, questo qui, dove si parla e si ascolta molto. Siamo partiti a mezzogiorno e il sole è già calato e non me ne sono accorto.]

Se hai dimenticato di prendere qualcosa da leggere, ci sarà uno scompartimento pieno di libri che potrai prendere in prestito e restituire nel viaggio di ritorno. Ci sarà pure un bar, ma non avrà birre o alcolici di sorta, che come bar, verrebbe da dire, non è un bar, è un forno, un negozio di generi alimentari o di prima necessità, e allora magari avrete voglia di cambiargli nome e dire all’interfono del treno “nella sesta carrozza da questo momento è attivo l’alimentari” ma siccome non siete qui per fare polemica, ci andrete anche voi, a prendere il caffè.

[Il  vagone bar diventa il melting pot. Studenti, professori, accompagnatori, musicisti, scrittori e giornalisti si scambiano idee, racconti, pacche sulle spalle e anche rimproveri, delle volte, ma è la zona franca dove le differenze d’età si annullano nell’equilibrio precario della posizione eretta, caffè o tè bollente in mano, sul pavimento della carrozza lanciata verso la Polonia. Qualcuno sfodera del rum di bassissima lega da uno zainetto, qualcun altro, io, si avvicina sorridente. Guardo dal finestrino e i nomi assurdi delle stazioni austriache volano all’indietro, nel buio luminoso della neve.]

Bancone, corrimano, poggiapiedi e sedie ci sono, quindi è un bar, un po’ sobrio e salutista ma è un bar, e dopo un intervento di Andrea Plazzi sull’insulto politically correct – intervento che viene trasmesso anche dall’interfono in tutti gli scompartimenti e che avrete capito a metà, arrivando in ritardo –  vi ritroverete stretti stretti a sentire e poi cantare con vari musicisti in acustico (a noi son capitati i Giardini di Mirò, che vi dobbiam dire, tutte le fortune…) svariate canzonacce politicamente scorrette e resistenziali mentre fioccano i brindisi al tè e al cappuccino. Fuori nevica. Tre secondi, niente di più, il macchinista smette di premere sull’acceleratore e tutto scivola e niente più stride o fa rumore. Il treno procede, ma sembra non toccare le rotaie. La forza motrice, anche solo per quei tre secondi, siamo noi, sei tu, che canti Bella Ciao.

[Cantano i Giardini di Mirò, cantiamo noi, cantano gli studenti e i professori. Fischia il vento, Addio Lugano, il Galeone. La bottiglia di rum di bassissima lega è finita e la sento tutta, le bottiglie di lambrusco sono vuote, Figli dell’officina, Nostra patria è il mondo intero, fuori l’Austria scompare veloce, Fischia il vento, Bella Ciao.]

Dopo un altro po’ di canti, mentre gli altri andranno avanti fino a tardi, entrerete nella cuccetta dove i vostri compagni di viaggio stanno dormendo, cercherete di leggere ma la luce delle cuccette è come un faro nel buio che vi circonda, allora vi addormenterete e sognerete di andare a caccia di draghi. Dormirete mentre il treno ciondola sulle rotaie e comincia a sembrarti più una nave, ondeggia, viaggia, macina chilometri e chilometri e l’unica cosa scattante in un treno addormentato, sarà il vostro cellulare, a darti il benvenuto in ogni nazione, ad ogni ora, solerte a ricordare a tutti voi che state entrando nel cuore dell’Europa.

[Non riesco a dormire, allora mi lascio cullare dalla lettura e dal concerto per nasi intoppati e corde vocali che mi si svolge intorno, nello scompartimento. Sento il treno che si ferma, scendo dalla scaletta del lettuccio al terzo piano, senza fare rumore per non svegliare nessuno, guardo dal finestrino e fuori c’è la Repubblica Ceca. Gli studenti che non dormono, gli studenti non dormono mai, aprono le porte e scendono in massa a sgranchirsi le gambe, a fumare, saranno le tre del mattino. Penso di colpo che in Repubblica Ceca non ci sono mai stato, allora mi rimetto le scarpe e mi infilo tra i diciottenni, e scendo, così, solo per appoggiare i piedi in terra straniera. Dura una ventina di minuti, poi il fischio del capotreno dice a tutti di salire. Allora sì, adesso mi sfilo le scarpe, torno nel lettuccio al terzo piano e dormo, cullato nella nave che ondeggia, mi unisco alla caccia al drago e forse al concerto per nasi intoppati e corde vocali che ancora si svolge nello scompartimento. Quando mi sveglio c’è la Polonia grigia e inospitale. A Kraków-Płaszów, che non è una stazione qualsiasi, scendiamo e prendiamo il posto sugli autobus, ognuno il suo, già assegnato. Su ogni autobus c’è una guida, diventerà la nostra migliore amica. Bon, il viaggio in treno è finito, adesso inizia quello nella Storia, per la Memoria, nella gelida follia della razza umana.]

(Continua nella seconda parte…)


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