Il ponte sospeso secondo Faussone

E sempre in un libro che si chiama La chiave a stella, del 1978, di Primo Levi, c’è il personaggio principale, Faussone, detto Tino, che di mestiere fa il montatore in giro per il mondo, che racconta di quando l’avevano mandato in India a montare un ponte sospeso, e dice che era un gran lavoro, che lui ha sempre pensato che i ponti è il più bel lavoro che sia: perché si è sicuri che non ne viene del male a nessuno, anzi del bene, perché sui ponti passano le strade e senza le strade saremmo ancora come i selvaggi; insomma perché i ponti sono come l’incontrario delle frontiere e le frontiere è dove nascono le guerre. E dice che lui sui ponti la pensava così, e in fondo la pensa così ancora adesso; ma dopo che aveva montato quel ponte in India, pensa anche che a lui sarebbe piaciuto studiare; che se avesse studiato probabile che avrebbe fatto l’ingegnere; ma che se lui fosse un ingegnere, l’ultima cosa che farebbe sarebbe di progettare un ponte, e l’ultimo ponte che progetterebbe sarebbe un ponte sospeso.
Allora il narratore, che potremmo anche identificare con lo stesso Primo Levi se non fosse un’ipotesi azzardata, così, in mancanza di prove, fa notare a Faussone che il suo discorso gli sembra un po’ contraddittorio, e Faussone gli conferma che lo è; che però prima di giudicare aspettasse la fine della storia; che succede sovente che una cosa sia buona in generale e cattiva nel particolare.


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