Gagarin

E in un libro che si chiama Non c’è nessun Dio quassù. L’autobiografia del primo uomo a volare nella spazio, pubblicato per la prima volta nel 1961 sulle pagine della Pravda, e in Italia nel 2013 per Red Star Press, Jurij Alekseevič Gagarin dice che quando gli avevano chiesto se gli piacesse volare, lui non riusciva a dare una risposta, gli mancavano le parole. E che in quel momento soltanto la musica avrebbe potuto esprimere la sua gioia durante il volo.

E invece su un blog che si chiama Barabba, il 12 aprile del 2011, era un periodo che scrivevamo tante biografie essenziali, e io ne avevo scritta una, la numero 108, che diceva così:

Jurij Alekseevič Gagarin, a ventisette anni, guardava tutti dall’alto in basso.

E l’anno dopo, nel 2012, ero stato a Mosca con Grushenka, era il nostro viaggio di nozze, e dopo aver preso la metro per non so quante fermate e poi aver camminato un chilometro di fianco a una superstrada eravamo capitati vicino a uno svincolo a cinque o sei corsie, in un posto che si chiama Ploshchad’ Gagarina, cioè, più o meno, credo, Piazza Gagarin, perché volevamo scattare questa foto:

(anche se è venuta un po’ storta e coi filtri di Instagram che andavano di moda dieci anni fa, ma fa lo stesso)


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