Così va la vita (quello che è successo davvero)

Una volta, qualche anno fa, ero a un concerto di non mi ricordo chi, ma mi ricordo che nella testa mi lamentavo di questo tizio che avevo di fianco, non era la prima volta che lo incrociavo, era alto, con due spalle così, molto più giovane di me, e ballava e mi prendeva sempre contro, parlava con quelli che aveva intorno e sudava e si dimenava, un nervoso. Io i concerti, soprattutto invecchiando, ormai li guardo quasi sempre fermo e in silenzio, e sono ben poche le volte che mi lascio andare come faceva quel tizio lì di fianco a me quella sera. La mia, alla fine, era anche un po’ invidia.
Qualche giorno dopo lo stesso tizio l’avevo visto salire su un palco, non ricordo se eravamo nello stesso posto o in un altro, ma lui aveva preso la chitarra e si era messo a cantare e mi si era spalancata la bocca. Aveva una voce che non si spiegava.
Mi ricordo, poi, di un’altra sera che facevo il dj e in pista c’era sempre quel tizio che ballava tantissimo insieme ad altre due o tre persone, e a un certo punto mi aveva raggiunto con un salto sul palco dove c’era la consolle, aveva una canottiera grigia che ormai era diventata scurissima per il sudore, e mi aveva abbracciato ringraziandomi perché avevo messo su le Runaways, come se avessi fatto la cosa più importante del mondo, e mi aveva bagnato tutta la parte davanti dei vestiti e lasciato due strisce umide dietro la schiena, dove erano arrivate le sue braccia nell’abbraccio. Mi aveva anche dato un bacio molto vicino alla bocca.
Dopo lo avevo riaccompagnato a casa, perché era senza macchina ed era rimasto lì a ballare fino alla fine e quelli con cui era arrivato erano già andati via. Mentre smontavo la consolle e sistemavo i dischi nella valigia, e poi nel viaggio dal locale verso casa sua, mi aveva raccontato la sua vita e la sua storia d’amore, e anche dopo che avevo parcheggiato davanti al suo portone era stato lì almeno un quarto d’ora a ringraziarmi, e io a dirgli ma figurati, e lui a ringraziami e così via per un bel po’. Poi mi aveva chiesto se volevo salire a bere una birra, ma erano già le quattro o le cinque del mattino, così avevo detto di no, grazie, e lui mi ringraziava ancora mentre scendeva dalla macchina e barcollava verso casa. Era di una gentilezza che si fa fatica a scriverla.
Eravamo anche diventati amici, alla fine. Non che uscissimo insieme, ma io andavo ai suoi concerti e molto spesso ci incontravamo al bar dove bevevamo delle birre e parlavamo di musica e delle solite cazzate di cui si parla al bar. Avevo anche messo i dischi al suo compleanno, una notte d’estate che era finita col sole che si alzava, e dove tutti gli invitati, prima di andare a recuperare la macchina per uscire, dovevano passare attraverso un suo abbraccio sudatissimo e il suo ennesimo ringraziamento.
Un paio d’anni fa gli avevo chiesto se aveva voglia di accompagnarmi in un reading, mi aveva detto che non era un buon momento e si era scusato cento volte, ma proprio non poteva. Ho capito solo dopo il perché.
Una volta gli avevo sentito cantare una Fuzzy che se l’avessero sentita i Grant Lee Buffalo sono sicuro che gli avrebbero ceduto i diritti.

L’altro ieri quel tizio lì che quella sera là mi prendeva sempre contro e con cui poi sono diventato amico, e che aveva una voce e una gentilezza difficili da spiegare se n’è andato, aveva un brutto male che se l’è mangiato, in due anni, un pezzo alla volta. E adesso non c’è più. Stamattina non sono neanche riuscito ad andare al funerale, per via dei tempi che corrono e di quello che succede.

A guardare le cose che hanno scritto e postato e che stanno continuando a scrivere e a postare quelli che lo conoscevano bene o che avevano appena un po’ avuto a che fare con lui o che l’avevano anche solo visto una volta o due suonare, sembra che sia morta una rockstar. Che poi è quello che è successo davvero.

Così va la vita.

(Ciao Cocco, grazie davvero)


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