L’Adele è una roccia

L’Adele è una tipa arcigna, battagliera, capace di farsi rifare la casa perché un muratore le ha sbagliato di quattro millimetri la posizione di una porta, capace di annullare un contratto telefonico per un centesimo non previsto sulla bolletta, cose così. L’Adele è una roccia. Anche se è anziana, anche oggi, è ancora una roccia.

L’Adele, quando era giovane, quando ancora non aveva vent’anni, era una prestigiatrice. Anzi no: l’Adele era la valletta di Antonio, il prestigiatore, il mago. Era quella che si faceva segare in due coricata in una cassa e muoveva i piedini della parte bassa del corpo tagliata a metà, era quella che pescava dal pubblico i malcapitati per ipnotizzarli, poi entrava vestita in un baule, veniva infilzata con le spade e usciva, ta-dà, in mutandine e reggiseno con le gambe sottili in mostra, che negli anni cinquanta, quando l’Adele non aveva ancora vent’anni, erano cose da spalancare la bocca dei presenti.
L’Adele aveva cominciato a fare la valletta di Antonio quando sua sorella più grande, l’Ada, che era stata valletta prima di lei, aveva deciso che preferiva la risaia e i campi di grano al continuo spostarsi della carovana. Ma all’Adele piaceva la vita del circo, e le piaceva Antonio, che però era molto più vecchio di lei e, soprattutto, era sposato.

C’era un’Italia sbrindellata, a quei tempi là, la guerra era appena finita, i muri erano rotti dalle bombe, di asfalto sulle strade non ce n’era, e da mangiare ce n’era ancora meno, ma al circo, se andava bene, un po’ di più. E mentre l’Ada nel piatto aveva il riso della risaia e il pane del lavoro nei campi, l’Adele, ogni tanto, mangiava i fagioli e la salsiccia che, dice, come li cucinava la moglie di Antonio, nessuno.
Girava e girovagava, l’Adele. La carovana si fermava e montava il tendone, e poi la sera, dopo i leoni e i pagliacci, lei e Antonio avevano le luci dello spettacolo puntate sulla faccia, chilometri di fazzoletti colorati ripiegati nelle maniche della giacchetta, cilindri coi conigli, palloncini e colombe bianche, la cassa da tagliare in due e muovere i piedini nudi nell’altra metà, il pubblico da ipnotizzare, le spade per farsi trafiggere e, ta-dà, uscire in mutandine, reggiseno e le gambe giovani e sottili sulle bocche spalancate dei presenti. Poi smontare, caricare, rimettersi in viaggio, girare e girovagare, montare ancora e di nuovo le luci dello spettacolo negli occhi.
Ha un milione di storie da raccontare ai nipoti, l’Adele, come di quella volta che avevano scoperto che al pagliaccio piacevano le bambine. Erano in un posto sperduto, tipo in Sardegna, e i sardi volevano ammazzarlo, il pagliaccio. Loro, quelli del circo, lo nascondevano nella gabbia con l’elefante. Poi gli avevano detto «Va’ via, pagliaccio, che se non t’ammazzano i sardi, prima o poi la testa te la spacchiamo noi». Storie così. Ma proprio tante.

E mentre il circo era lì nel suo solito girare e girovagare, un giorno di maggio, va a finire che la moglie di Antonio si ammala e muore. Piangeva Antonio, suo marito. Piangeva l’Adele, la valletta. Piangeva tutto il circo perché le volevano un gran bene. Poi le avevano fatto un bel funerale ed erano ripartiti con la nostalgia nel cuore e anche nello stomaco, che come faceva i fagioli con la salsiccia lei, la moglie di Antonio, nessuno.
E in quell’Italia sbrindellata dei primi anni cinquanta, anche se era molto più vecchio della sua valletta, ora che Antonio e la moglie li aveva separati la morte, lui, il mago, una sera d’estate, aveva preso l’Adele per mano e le aveva detto «Ti voglio bene».
Si erano poi sposati in una chiesa del paese dove il circo era approdato, e da quel giorno dicevano che gli spettacoli erano ancor più magici e colorati. E c’era l’amore nel sorriso di quella ragazzina che spuntava dal baule trafitta dalle spade e, ta-dà, in mutande, reggiseno e le gambe lucide e sottili sulla bocca spalancata dei presenti.

Per mesi e mesi l’Adele e Antonio avevano girato e girovagato e si erano amati, dandosi la mano e un bacio al momento dell’inchino e degli applausi. Ma la vita, anche la vita era sbrindellata, e qualche anno dopo, non tanti, in verità, quando l’Adele ormai stava per diventare donna e non più ragazzina, il vecchio Antonio si era ammalato di un brutto male, l’Adele non dice quale, ma si capisce, era un male grosso, che prendeva la pancia e costringeva il vecchio mago in posizione orizzontale sopra il letto della roulotte, con gran dosi morfina due o tre volte al giorno, per giorni, per mesi. Mesi in cui il circo si spostava, girava e girovagava, ma lo spettacolo dei prestigiatori era stato cancellato. Niente palloncini e colombe bianche che scomparivano, niente chilometri di fazzoletti colorati nelle maniche della giacchetta, c’era solo un vecchio mago morente sul letto di una carovana, che pian piano aveva perso i sensi e la parola, con litri di morfina che non placavano più il dolore, e con la sua piccola moglie dalle gambe giovani e sottili lì al suo capezzale che gli asciugava il sudore.

Poi un giorno il circo era arrivato in una grossa città, una città importante, con tanto pubblico pagante. Allora il padrone del circo, col cappello altissimo e la divisa rossa dai bordi dorati, aveva bussato alla roulotte di Antonio e aveva detto: «Adele, Adele, scusa, te lo chiedo per favore, proveresti a far tu da sola lo spettacolo, stasera?»
«Oh, non lo so», gli aveva risposto l’Adele, «non sono capace, sono solo la valletta.»
«Dai Adele,» la incitava il padrone, «questa è una serata importante, c’è pieno di gente, le alte cariche, i bambini, proviamoci ti prego.»
E l’Adele, che è una roccia, dopo dieci minuti di preghiere del padrone aveva risposto che sì, ci provava, che doveva solo dare la morfina a suo marito poi si preparava per uscire nell’arena, come sempre, dopo i leoni e i pagliacci. Da sola, questa volta.

Il circo era davvero pieno, l’Adele aveva le luci dello spettacolo sulla faccia, un semicerchio d’occhi addosso, i conigli nel cappello, chilometri di fazzoletti colorati che uscivano svolazzando dalle maniche della giacchetta, ipnotizzava il pubblico, si faceva tagliare in due da un pagliaccio e muoveva i piedini nudi, si faceva infilzare dalle spade e poi usciva, ta-dà, in mutandine e reggiseno e le gambe giovani e sottili sulla bocca spalancata dei presenti.
Andava meravigliosamente, l’Adele, gli applausi erano un fiume d’affetto e ammirazione, e mentre giocava con le colombe e le faceva sparire e poi ricomparire, non lo avrebbe detto nessuno che la sua bocca tremava, e tremava perché nei primi minuti dello spettacolo l’Adele aveva voltato la testa sul pubblico e là, in prima fila, sulla destra, seduto con una mano a pugno a sorreggere il mento, c’era Antonio. Che la guardava e rideva.
Ma l’Adele è una roccia. L’Adele aveva concluso lo spettacolo, fatto un inchino e, quando aveva alzato la testa con la bocca tremolante, aveva visto Antonio alzarsi in piedi, barcollare verso l’uscita e andare via. Così dopo gli applausi era uscita dal circo, aveva fatto una gran corsa a perdifiato e lo aveva raggiunto, lo lo aveva sorretto, lo aveva portato alla roulotte e appoggiato in orizzontale sul letto. Poi si era seduta di fianco a lui.
Lui le aveva preso la mano. Aveva aperto gli occhi e con la voce troncata dallo stomaco attorcigliato, e per la prima volta faccia a faccia dopo troppi mesi le aveva detto «Adele, adesso che sai tutto quello che c’è da sapere, sono contento, posso andare.»
Poi la mano del mago si era afflosciata, il petto si era fermato.
E Antonio era morto sorridendo, con calma.

L’Adele è una tipa arcigna, battagliera, capace di farsi rifare la casa perché un muratore le ha sbagliato di quattro millimetri la posizione della porta, capace di annullare un contratto telefonico per un centesimo non previsto sulla bolletta. Cose così. L’Adele è una roccia. Anche se adesso è anziana, anche oggi, è ancora una roccia.
Ma quando l’altro giorno ha finito di raccontarmi la sua storia, l’Adele, mia zia, la sorella più piccola di mia nonna Ada, appena ha alzato la testa l’ho vista che aveva lo sguardo bagnato e la bocca che un po’ tremava.
Non è durato molto, qualche secondo, poi si è ripresa e gesticolando mi ha chiesto se volevo conoscere il trucco del baule con le spade. Questo però non posso raccontarvelo, le ho promesso che è un segreto.

***

[Questo pezzo l’avevo scritto qualche anno fa, poi era finito in un reading che si chiamava Si stava meglio quando si stava meglio, e poi in un ebook gratuito che si chiamava anche lui Si stava meglio quando si stava meglio. Oggi lo rimetto qui, correggendo qualche refuso, qualche tempo verbale e qualche virgola, perché sono fatto così, e perché oggi l’Adele compie 80 anni. E dopo alcune vicissitudini terribili capitate nel 2021, cose che avrebbero steso quasi chiunque, lei, l’Adele, con grande stupore di medici e specialisti che ancora non si spiegano come mai, si è ripresa e ha una testa che vorrei averla io, una testa così. Una testa lucida e dura, come una roccia.]

(La foto l’ha fatta qualche ora fa mia sorella, @marcymany, che con le foto è più brava di me.)


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