Una collezione

Avevo questa libreria molto bella e molto lunga, in salotto, dove abitavo prima, e sopra era piena di bottiglie vuote. Erano bottiglie vuote che avevo bevuto e ognuna era stata bevuta in un’occasione particolare, oppure l’occasione non era particolare ma il vino era buonissimo e avevo tenuto la bottiglia. C’era per esempio un Sassicaia che avevo comprato insieme a quattro miei amici e ci eravamo trovati una sera per stapparlo e berlo pian pianino, cercando di sentire anche la più piccola particella di profumo; c’era il Lupicaia da un centinaio di euro che avevo offerto ai miei compagni di università la sera della mia laurea, in un’enoteca di Modena dove ero ancora vestito bene, con la cravatta e le scarpe lucide e mi sembrava di non appoggiare mai i piedi per terra; c’era l’Amarone che avevo bevuto il giorno dopo la mia laurea, con mio papà, solo noi due in cucina, con la porta chiusa e senza quasi dirci niente ma sorridendo e guardandoci come a dire continuamente “ma pensa te”; c’era un Morellino di Scansano molto costoso che avevamo comprato io e Grushenka l’ultima volta che eravamo stati alla Fondazione Bianciardi a Grosseto per fare delle ricerche per la sua, di lauree; c’erano un Rosso Stalin e un Rossissimo Lenin che avevo bevuto insieme a mio suocero una delle prime volte che bevevamo insieme; e così via, una bella storia per ogni bottiglia. Ce n’erano ormai un bel po’, tipo tre file di bottiglie vuote in cima a quattro o cinque metri di libreria, tutte lavate per bene dopo l’uso e chiuse con un po’ di carta assorbente o uno stoppino per non farci andar dentro la polvere o i ragni. Ero molto contento della mia collezione.

Poi dieci anni fa, erano le quattro del mattino, ero stato svegliato più che da una vibrazione, dal fracasso di un quintale di vetro che colpisce il pavimento, e voltandomi verso il corridoio, che la porta era aperta e dieci o quindici metri più in là stava il salotto con la libreria, vedevo dei cocci neri, verdi e viola saltare e strisciare sul pavimento, arrivavano in volata fin sotto il mio letto.
Avevo preso il cane e la gatta e li avevo tirati su con me perché non si facessero del male. Avevo aspettato che finissero il baccano e la tremarella. Poi mi ero alzato e avevo forse bestemmiato ad alta voce, ma mica per cattiveria o il dispiacere, era più una specie di stupore.
E così, dalle quattro e qualcosa del mattino di dieci anni fa, anche se le bottiglie che bevo sono buonissime e dietro hanno una storia bella e complicata, da ricordare, beh, fa lo stesso, quando son finite le vado a buttare nel bidone del vetro. Va bene anche così.


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