Lo strano caso del furto dell’arrosto

E in un libro che si chiama Repertorio dei matti del Canton Ticino, del 2019, curato da Paolo Nori e scritto da Antonia Boschetti, Sabrina Caregnato, Olmo Cerri, Anna Maria Di Brina, Sandra Dissertori, Sara Groisman, Romina Henle, Luca Jaeggli, Esmeralda Mattei, Manuela Mazzi, Marco Miladinowitzsch, Lisa Müller, Elena Nuzzo, Alan Pipitone, Chiara Spata, Giuseppe Tami, Irmtraut Tonndorf, Cristina Zamboni e Carlotta Zarattini, a un certo punto si dice che:

Una tagliava da sempre l’arrosto alle due estremità prima di cucinarlo. Due centimetri buoni di carne cruda per parte. La figlia le aveva chiesto perché lo facesse e la madre le aveva risposto che non lo sapeva bene, a casa sua si era sempre fatto così, lo aveva visto fare dalla nonna. La figlia aveva quindi chiesto alla nonna il perché di quel taglio dell’arrosto e la nonna le aveva risposto che glielo aveva insegnato la bisnonna e che doveva sicuramente essere un trucco per farlo più buono.
La figlia aveva quindi chiesto alla bisnonna i motivi di quella carne sacrificata e lei le aveva detto che lo aveva sempre fatto perché la pentola che aveva era sempre più piccola dell’arrosto che comprava e che non poteva fare altro che accorciarlo per farcelo stare tutto intero

Che è stranamente molto simile a una cosa intitolata L’arrosto di maiale che avevo scritto qui nel 2014 e che, tra l’altro, avevo riproposto sempre qui un mese fa (era anche finito in un articolo sull’Oblò di ATBV insieme a Ermanno Cavazzoni e Antonio Prete, una cosa da mettere sul curriculum).

Devo ancora capire se sono arrabbiato o se mi fa piacere.
Sicuramente è segno che era una racconto con delle buone idee.
Quindi forse mi fa piacere. Forse.
Boh. Va bene lo stesso.


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3 risposte a Lo strano caso del furto dell’arrosto

  1. Cristina ha detto:

    Gentile Marco,
    mi è stato inviato questo suo scritto ieri da una co-autrice del “Repertorio dei Matti del Canton Ticino”. Io sono l’autrice del racconto dell’arrosto, racconto che mi è stato tramandato da un collega della Radiotelevisione della Svizzera italiana, insieme al racconto delle falciatrici di fieno che legavano i bambini agli alberi per non farli rotolare a valle e altri aneddoti che provengono dalla Valle Maggia, una valle discosta e prevalentemente contadina, fino all’altro ieri. Non ho mai letto il suo racconto, che a questo punto leggerò con grande piacere, deve essere che la povertà e nel contempo il saggio pragmatismo delle donne, producono storie simili, al di là dei confini e delle latitudini.
    Cordialmente, Cristina Zamboni

    • Marco Manicardi ha detto:

      Ciao Cristina, sì, hai ragione.
      Sono forse stato un po’ impulsivo io a pubblicare questo post. D’altra parte anche io, all’epoca, la storia dell’arrosto l’avevo scritta rimaneggiando il racconto al bar di un vecchio cuoco carpigiano, che forse l’aveva sentita da qualcun altro e così via.
      Mi ero un po’ stupito della tremenda somiglianza tra le nostre due versioni della storia, ma a guardarci bene, ora, non aveva proprio senso scrivere quello che ho scritto, anche se lo lascio qui senza cancellarlo, così tutte le volte che ci ricapiterò mi sentirò un po’ coglione, come mi succede adesso.
      Aggiungo qui tutte le mie scuse.
      E un saluto.
      Marco.

  2. Anonimo ha detto:

    Ciao Marco,
    mi sembra un bel filo quello che unisce un cuoco carpigano a una donna della remota valle Maggia , in fondo i Grimm hanno raccolto sei secoli di fiabe in un bacino ben più enorme di trasmissione orale , è bello sapere che le storie continuano a viaggiare oltre ogni confine anche oggi , è un gran bel segno ,
    un caro saluto
    Cristina

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