L’Emilia-Romagna, spiegata bene (Felice)

C’è un passo di un libro di Paolo Nori che si chiama La matematica è scolpita nel granito, del 2011, che dice circa così:

“Ho ripensato poi all’idea che ti avevo accennato, una raccolta di racconti di scrittori emiliani. Il titolo, Allegri e disperati, significa nella mia testa un ragionamento che è cominciato da una frase di Gogol’. Nella mia testa c’è questa frase di Gogol’ che gira e dice più o meno Non avete provato anche voi quella sensazione di quando finisce la festa, che vi sembra che vi si stacchi la pelle di dosso? Questa sensazione di cui parla Gogol’, che la pelle ti si stacca di dosso dopo la festa, è secondo me tipica della nostra terra, dove il carattere gioviale della gente convive con una discrezione che impedisce di manifestare in pubblico i propri sentimenti e i propri affetti. Allora il momento della disperazione è un momento solitario. Non ci sono, da noi, e non potrebbero esserci, scrivevo, quelle donne che in Sicilia sono pagate per piangere ai funerali. Noi affrontiamo il mondo come se fossimo tutti d’un pezzo, con una dignità e una coerenza che ci hanno insegnato che vanno bene. E quando crolliamo, che crolliamo, crolliamo da soli, dentro le stanze. E uno che viene da fuori non lo direbbe mai, a vederci che teniamo su una compagnia di trenta persone e beviamo lambrusco e diciamo cazzate, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa.”

E mi è venuto in mente che noi emiliani, quando andiamo ai funerali, a parte la prima fila dei parenti strettissimi, tipo la moglie e i figli se muore il marito, non piange mai nessuno. E i funerali, da noi, sono pieni di gente che ride, e quelli che ridono di più sono gli anziani, quelli che verso le ultime file del corteo si raccontano delle cose divertenti accompagnando la bicicletta a mano mentre si va tutti insieme al cimitero dietro a una cassa da morto, anche se poi lo sai che sono tutti lì che stanno abbastanza male, chi più chi meno, per quello che è morto. E davvero dev’essere proprio così, come dice Nori, che uno che viene da fuori, a vederci, non lo direbbe mai che diamo i pugni al muro, quando torniamo a casa.

Questa cosa si nota ancor di più quando l’ordine naturale del nostro cervello viene sconvolto. Per esempio, conoscevo un vecchio che si chiamava Felice, che girava sempre avanti e indietro per la via dove abitavo prima, gli erano venuti due ictus e lui, dopo quei due ictus, aveva perso l’uso della parola. Si vedeva, però, che il suo cervello si era incantato sull’unica cosa che il cervello di un emiliano tratta come una funzione primaria e involontaria, primordiale, come respirare, battere le ciglia e far battere il cuore, e questa cosa erano le bestemmie.
Se lo incontravi, Felice, mentre girava avanti e indietro per la via dove abitavo prima, lui ti sorrideva e ti faceva ciao con la mano. Allora tu rispondevi al saluto e gli chiedevi Ciao Felice, come andiamo oggi? Lui sorrideva ancora, faceva su e giù con la testa e poi faceva dei gesti come a dire Ma bene, dai, oggi non c’è male. E invece ti diceva D*o ca*e.

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Gli altri post che parlano dell’Emilia-Romagna, spiegata bene, sono questi:
– L’Emilia-Romagna, spiegata bene
– E ancora meglio di enzo (polaroid)
– E un’altra cosa di eio
– L’Alta in basso e la Bassa in alto di Tinni
La Lutazia-Romagna, spiegata bene di Paolo Colagrande


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