Il verbo perdere

E nella trentasettesima uscita di una newsletter che si chiama Bastonate per posta, dal titolo È FACILE ESSERE UMILI SE NON SEI NESSUNO (in maiuscolo), simone rossi (con le minuscole), peraltro autore di un libro inesistente che si chiama Il verbo rubare, del 2014, a un certo punto dice così:

Sto sperimentando, direi a un giornalista che mi intervistasse, se esistesse. Lasciatemi perdere. L’altro giorno erano 30 anni dall’uscita di Mediterraneo (il film di Salvatores, non la canzone di Serrat), e ho letto sul Post che il titolo di lavorazione di Mediterraneo era Lasciateci perdere, che si può avere tre sensi diversi e mi sembra un titolo bellissimo. Mi ricorda Perdono tutti, lo spettacolo su Cesare Pavese del mio amico Marco Manicardi, anche lì uno può mettere l’accento in due posti diversi e anche quello mi sembra un titolo perfetto. Che verbo flessibile, il verbo perdere. Vorrei essere uno di quei dischi che ti appaiono sotto le dita perché l’algoritmo di YouTube ha deciso che era arrivato il momento che conoscessi Hiroshi Yoshimura. È folle, lo so.

E io è tutta mattina che mi messaggio con Zanna per provare a riprendere in mano quella cosa lì. E magari non riuscirci, di nuovo, e perdere, ancora. Si perde sempre in maniera diversa.


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