Doctor Sleep

Vado a letto che è quasi l’una, circa, come sempre, ma stasera non ho sonno.
Infatti all’1.30 sono ancora fermo lì nella stessa posizione: non riesco a dormire.
Alle 2 passate ancora niente. Comincio a innervosirmi.
Verso le 4, sfinito, sposto un po’ le gambe e sveglio la gatta che ci sta dormendo sopra, lei miagola, si stira, si sposta; e io, cercando di non disturbare la morosa che dorme beata col suo bel respiro regolare del sonno, mi impietrisco in una nuova posizione. Di solito, quando voglio addormentarmi per forza, sto fermo impalato e respiro lentamente, mi metto a contare. Di solito funziona. Oggi no.
Niente. Alle 6 sono ancora troppo sveglio e molto incazzato.
Alle 7.40 non ho dormito neanche un minuto. Bestemmio e mi incazzo ancor di più perché nel marasma notturno della mia testa sto riuscendo addirittura ad alzarmi in ritardo per andare a lavorare.
Mi tiro su, mi lavo, velocissimo, mi vesto.
Scendo a piedi.

Al primo semaforo pedonale ci sono tre ragazzi che aspettano il verde. Uno, un po’ sovrappeso, ha una maglietta con su scritti in grigio dei nomi di disegnatori americani. Sul petto, in nero grassetto, risalta il nome di Todd McFarlane. Scuoto appena la testa guardandomi i piedi e muovo gli angoli della bocca in giù. Penso che «i giovani non cambiano mai, non c’è verso: ci cascano sempre.»

Sono molto, molto stanco.

Il ragazzo con la maglietta dei disegnatori americani sta parlando con uno degli altri due, un asiatico alto e con gli occhiali a montatura spessa, gli sta dicendo che nei fumetti della Marvel è troppo ambiguo il rapporto tra eroi maschi ed eroine femmine, che non si capisce molto dove vogliano andare a parare, e che forse non vale nemmeno la pena stare lì a strolgarci sopra. Invece, dice sempre il ragazzo con la maglietta dei disegnatori americani al suo amico alto e asiatico, invece «il nemico di Mazinga, quello travestito da operaio (!?), lui sì che è un amico del popolo.»
Il terzo ragazzo tace. L’asiatico sta zitto qualche secondo, poi sembra commuoversi, batte una mano sulla spalla all’amico con la maglietta dei disegnatori americani e, mentre il semaforo accende l’omino verde, gli dice: «che bel discorso, amico mio… che bel discorso.»

Così mi sveglio.
Guardo l’orologio: sono le 2.40.
Cerco di ricordare un nemico di Mazinga travestito da operaio.
Mentre ci penso mi riaddormento.
La gatta è ancora lì tra le mie gambe. La morosa dorme beata col suo bel respiro regolare del sonno. Non hanno mosso un muscolo.


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