Così va la vita (di sei ragazzini al Louvre)

È una storia piccola, me ne rendo conto, molti avranno la loro, molto più interessante di questa, ma questa è la mia. È una storia del 1998, quando avevamo diciannove anni e ci eravamo appena diplomati, e in quell’estate di nulla estremo che ci separava dall’università o dal lavoro a vita eravamo partiti in sei su un treno, con gli zaini sulle spalle e delle scarpe buone per camminare, e un biglietto dell’Interrail in tasca valido per Francia, Belgio e Olanda per venti giorni. Non tutti, ma alcuni di noi avevano un obiettivo preciso: c’era quello che voleva arrivare ad Amsterdam, e aveva dei motivi validissimi; uno voleva vedere Omaha Beach per dare un senso alla propria collezione di carri armati e soldatini; io volevo essere a Parigi esattamente il 2 di agosto per vedere Marco Pantani arrivare in maglia e pizzetto gialli sugli Champs Elysées, l’ho anche già raccontato un’altra volta; e poi c’era quello, tra noi, che aveva una smania grandissima di visitare il Louvre.

E così, una mattina d’agosto di quello stranissimo 1998 di libertà sconfinata, ci eravamo trovati tutti e sei in coda a una fila lunghissima davanti alla biglietteria del museo; uno era eccitatissimo, tutti noialtri gli stavamo dietro guardandoci intorno, senza ben capire perché fossimo lì a fare quella fila noiosissima per andare in un posto noiosissimo mentre gli ormoni che scalpitavano forte ci dicevano che, molto probabilmente, c’erano delle altre cose da fare in una città grande come Parigi per della gente della nostra età.
Ma comunque, alla fine, eravamo entrati.
Quello che aveva come obiettivo il Louvre ci guidava per le stanze del muso, quasi di corsa, senza fermarsi davanti a niente, a parte forse un minuto scarso davanti alla Gioconda, ma giusto per raccontarlo la sera ai genitori da un telefono a gettoni. Poi a un certo punto, dopo una mezz’ora o forse di più, e forse perché avevamo anche insistito tanto per saperlo, ci aveva detto:  «stiamo cercando la Medusa».
La Medusa?
La Medusa non era un animale marino, come avevano pensato alcuni di noi, e neppure il mostro mitologico on la testa piena di serpenti, come immaginavano gli altri altri, i più secchioni del gruppo. La Medusa era un quadro.

«Ecco,» aveva detto quello che voleva andare al Louvre con tanta smania, e indicando con un dito una parete di una stanza grandissima ce l’aveva fatto vedere:

Noi, mi ricordo, avevamo guardato il quadro, che era molto bello, bisognava ammetterlo.
Poi avevamo guardato la faccia di quello che voleva andare al Louvre, che era contentissimo e appagato e sorrideva, e avevamo riguardato il quadro, e poi avevamo riguardato quello che voleva andare al Louvre, che adesso annuiva piano piano con la testa.
Poi ancora il quadro.
Poi ancora lui.

«Beh?» Gli avevamo chiesto.
«Beh cosa?» Ci aveva risposto.
«Cos’è?» Gli avevamo chiesto.
«Il mio fumetto preferito di Asterix.» Ci aveva detto.

Così va la vita.


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Una risposta a Così va la vita (di sei ragazzini al Louvre)

  1. laPaola ha detto:

    Adieu, monsieur Uderzo!

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