(Trilogia di Corrado – Episodio II) La divisa del Balilla

Quando gli hanno spedito a casa la divisa del Balilla, mio nonno Corrado, che era nato nel 1925 e faceva le scuole elementari nei primi anni ’30, dato che aveva un vestito solo perché soldi ce n’erano pochi e quello che aveva gli toccava metterlo anche al pomeriggio, perché al ritorno da scuola doveva andare ad aiutare la famiglia nei campi, appena gli hanno spedito a casa la divisa del Balilla, mio nonno Corrado era molto contento. Mio bisnonno Archimede, suo padre, invece, mica tanto.
Al mattino Corrado, con la divisa del Balilla, andava a scuola. Al pomeriggio tornava a casa a piedi, con le scarpe in mano per non rovinarle, si metteva il vestito sgualcito e lavorava nei campi con suo padre Archimede fino a sera, poi a letto presto e il giorno dopo uguale. Tutti i giorni funzionava così. C’era della povertà e c’era da lavorare, perché non erano tanti in famiglia, e non si capiva perché erano nati solo due figli da Archimede e dalla Bionda quando nelle altre famiglie di contadini erano in dieci o addirittura quindici. Proprio non si capiva. Allora c’era da lavorare e lavorare sodo. A scuola bisognava andarci, ma al pomeriggio nei campi, che i compiti faceva poi lo stesso.
Un giorno il vestito che serviva per lavorare nei campi si è strappato. Strappato per il lungo, che non lo si poteva mica usare e ci voleva un giorno o due per ripararlo, dato che le cose da fare erano tante. Allora la Bionda, mia bisnonna, deve aver detto a suo figlio «Veh, Corrado, vai mo’ a lavorare con la divisa del Balilla, che non è mica festa, oggi.» Mio nonno Corrado, che aveva un po’ timore di quella burbera di sua madre, non ha avuto il coraggio di ribattere ed è andato nei campi vestito da piccolo fascista. Archimede non era mica tanto contento di lavorare con suo figlio che aveva indosso quella brutta divisa lì, ma non era un giorno di festa, c’era da lavorare: arare, zappare, vangare e insozzarsi.
Il giorno dopo la divisa del Balilla, come potete immaginare, era sporca. Mio nonno però non poteva rimanere a casa da scuola, quindi, con le scarpe in mano e la divisa lurida, pian piano s’è incamminato verso il paese. Quando è arrivato a scuola si è seduto al banco e tutti lo guardavano. «Cosa volete?» diceva agli altri, «l’ho dovuta usare per lavorare.» E così avrà detto anche al maestro, ma questi gli ha dato una bella frustata sulle dita e l’ha spedito dal preside, lassù nella torretta: la presidenza stava su una torre della scuola, in alto, al quarto piano.
Il preside, appena vista la divisa del Balilla tutta sporca, ha urlato con le mani sui fianchi «Corrado! Ma non ti vergogni? Cosa direbbe il nostro Duce se ti vedesse così? Non ci pensi al decoro della nostra Scuola Elementare di Novi di Modena?» E poi, senza neanche aspettare la risposta, gli ha dato un gran schiaffone. Ma uno schiaffone che mio nonno se lo ricorda ancora oggi. Uno schiaffone che quando da piccolo mi raccontava come sono gli schiaffoni usava sempre quell’esempio lì.
Mio nonno, Corrado, appena arrivato a casa, con le scarpe in mano e la guancia rossa, è andato a mettersi il vestito strappato e ha raggiunto Archimede nei campi. «Com’è che c’hai il vestito rotto, oggi?» gli ha chiesto suo padre. «Eh, Babbo,» ha risposto mio nonno, «il preside mi ha dato uno schiaffone perché la divisa del Balilla era sporca, guarda qua, c’ho ancora il segno, diobon che schiaffone.»
Archimede è rimasto zitto. Ma non era mica tanto contento. Il giorno seguente, tutti e due con le scarpe in mano, sono andati a scuola insieme.
Corrado è andato in classe, Archimede invece è salito sulla torretta, lassù in alto al quarto piano. Ha bussato garbatamente, poi ha stretto la mano al preside e gli ha detto «Buongiorno, son qui per sapere cos’è successo ieri.» Il preside gliel’ha spiegato, e forse non notava che nelle braccia di mio bisnonno Archimede si stavano formando delle vene grosse come dei tubi di ferro. Forse ve l’ho già detto: Archimede era l’uomo più forte del paese, una volta ha afferrato un toro per le corna. Questa volta, invece, ha preso il preside per il collo dall’altra parte della scrivania, l’ha tirato su, e tranquillamente l’ha messo fuori dalla finestra della torre al quarto piano. «Se tocchi ancora mio figlio,» gli ha detto, «se lo tocchi ancora, se solo ci provi ancora, io la prossima volta ti lascio cadere giù.»
Deve aver capito bene l’antifona, il preside della Scuola Elementare di Novi di Modena, perché il giorno dopo mio nonno Corrado aveva un’altra divisa del Balilla, tutta nuova. E quindi eran due, una la poteva mettere pulita quando andava a scuola, l’altra, quella sporca, la usava nei campi, ed era molto contento. Mio bisnonno Archimede, suo padre, invece, mica tanto.

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[Originariamente apparso su Barabba e poi su Schegge di Liberazione 2010.]

Domani sarà il mio primo 25 aprile, dopo quattro anni, senza le Schegge di Liberazione. Un po’ mi mancano, un po’ è giusto che le cose finiscano quando devono finire, e le Schegge, che erano iniziate esattamente 4 anni fa in un localino di Carpi, dopo aver girato mezza Italia e perfino Parigi, sono finite l’anno scorso, sempre a Carpi, dentro al castello con le Mondine. Sono stati anni meravigliosi.
I libri sono scaricabili gratuitamente, ancora e per sempre, dal sito delle Schegge di Liberazione o dal catalogo di Barabba Edizioni.

Buon 25 aprile.


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