Cliché

Stamattina siamo andati in banca (ero con la Caterina e Guido, Guido è nostro figlio) per fare una cosa un po’ onerosa, e ci hanno fatti accomodare in una bella stanza con un tavolo ovale in radica, un bel tappeto ricamato, parquet in legno chiaro, una lampada di design, foto anonime incorniciate alle pareti, e un libro, uno solo, appoggiato in un angolo di un mobiletto basso in completa nonchalance, un libro soltanto, cartonato, copertina bordeaux rilegata a filo e titolo impresso in oro, un migliaio di pagine a occhio e croce. Mentre aspettavamo l’impiegata, che ci aveva detto «accomodatevi» e «arrivo subito», intanto che ci sfilavamo le giacche che sta cominciando ad arrivare la stagione fredda, e tiravamo fuori Guido dal passeggino per mettercelo sulle ginocchia che sarebbe stata una chiacchierata non troppo corta, ho allungato il collo verso il mobiletto e ho letto il titolo: Adam Smith, La ricchezza delle nazioni.
Capirai, ho pensato.

D’altra parte uno ha i miti fondativi (o fondanti, non so mai come si dice) che si sceglie. Io, per esempio, mentre entravamo nella banca spingendo il passeggino, con la Caterina di fianco che dava un dito a Guido, Guido che guardava col naso all’insù le porte a vetri che si aprivano da sole al passaggio del passeggino, camuffando la voce e ingobbendo le spalle per imitare un vecchio decrepito dicevo: «due penny, Guido… due penny.»
E la Caterina mi rispondeva: «No, devo darci da mangiare ai piccioni.»
Siamo fatti così.


Questa voce è stata pubblicata in cose così e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.